Riforma Cartabia, manuale di soccorso per avvocati: come si fa il nuovo processo dal Giudice di pace - Agenda Digitale

2023-03-08 14:52:32 By : Mr. Jun xin

Tutti gli aspetti tecnici fondamentali del nuovo procedimento dal Giudice di Pace, spiegati nel dettaglio: le competenze attribuite dalla riforma Cartabia e le modifiche procedurali, tra cui termini, notifiche, la decisione. Ecco un vademecum per gli operatori delle professioni legali

Nel proseguire la disamina delle principali novità della riforma del processo civile (dopo la panoramica sulle modalità di svolgimento a distanza delle udienze), si deve dar conto – in primo luogo – della forte anticipazione dell’entrata in vigore della stessa. Come noto, infatti, con la legge di bilancio 2023, il legislatore ha riformulato l’art. 35, d. lgs. n. 149/2022, rendendo applicabili le nuove norme processuali relative al processo ordinario davanti al Tribunale e al Giudice di pace ai procedimenti instaurati non più a partire dal primo luglio 2023, ma a partire dal primo marzo 2023.

La modifica legislativa, come del tutto evidente, ha fatto sollevare un coro pressoché unanime di critiche da parte degli operatori, preoccupati dalla necessità di assimilare in un tempo eccessivamente ristretto i nuovi modelli procedimentali, che in non pochi casi presentano innovazioni di non poco momento rispetto a quelli in vigore prima della riforma. Il procedimento davanti al Giudice di pace è proprio uno di quelli maggiormente toccati dalle modifiche legislative che, da un lato, hanno ampliato la competenza (nell’ottica di una progressiva estensione delle materie affidate alla cognizione del giudice onorario); dall’altro, hanno ridisegnato la procedura, plasmandola su quella del procedimento semplificato[1].

Come cambia il processo civile, passo per passo: la roadmap della riforma Cartabia

Nell’ottica di ridurre il contenzioso davanti al giudice togato, la riforma Cartabia ha ritoccato il primo e secondo comma dell’art. 7, c.p.c., incrementando i limiti della competenza per valore del giudice di pace (da cinquemila) a diecimila euro per le liti relative a beni mobili, nonché (da ventimila) a venticinquemila euro per le controversie in materia di risarcimento dei danni da circolazione di veicoli e natanti.

Si tratta, peraltro, di un primo passo verso il ben più significativo ampliamento di competenze delineato nell’ambito del più generale disegno di riforma della magistratura onoraria (artt. 27-28, D. Lgs. n. 116/2017), destinato ad operare a partire dal 31 ottobre 2025. Salvi ulteriori differimenti o modifiche legislative, a partire da tale data, infatti, la cognizione del Giudice di pace per le liti su beni mobili coprirà le liti sino al valore di trentamila euro, mentre quella per danni da circolazione sarà innalzata sino al limite di cinquantamila euro. Inoltre, verranno attribuite ex novo al Giudice di pace:

Si tratta, a ben vedere, di un incremento di competenze particolarmente esteso[4], di cui la riforma Cartabia costituisce – per così dire – un primissimo assaggio[5].

Oltre a modificare la competenza, la riforma Cartabia ha altresì toccato il procedimento del Giudice di pace, che è stato modellato sulla base del procedimento semplificato di cui agli artt. 281 decies ss., C.p.c., al quale sono state apportate ulteriori “semplificazioni” procedurali, giustificate dalla (almeno tendenziale) minore complessità delle liti affidate al giudice onorario e dall’esigenza di rendere accessibile lo strumento anche a utenza non specializzata[6].

La prima modifica rilevante riguarda l’atto introduttivo del giudizio che, a partire dalla data di entrata in vigore della riforma, non sarà più un atto di citazione, bensì un ricorso, il cui contenuto peraltro non presenta novità rispetto al passato. Come in precedenza, infatti, il ricorso dovrà contenere l’indicazione del giudice, delle parti, nonché del suo oggetto, e potrà essere formulato oralmente davanti al Giudice di pace, che dovrà curarne la verbalizzazione. Anche se la norma non lo dice esplicitamente, è opportuno che il ricorso indichi già i mezzi di prova di cui il ricorrente intenda avvalersi, anche in considerazione del fatto che – come vedremo – tale onere è imposto al convenuto al momento della costituzione in giudizio.

Il Giudice designato per la trattazione del ricorso, entro cinque giorni dalla designazione, dovrà fissare con decreto la data di udienza e i termini di costituzione del convenuto, che dovrà intervenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza, così come previsto dall’art. 281 undecies, C.p.c., richiamato, per il procedimento innanzi al Giudice di pace, dall’art. 318 C.p.c.

Il ricorrente dovrà quindi notificare al convenuto ricorso e decreto di fissazione di udienza, con almeno quaranta – o sessanta, in caso di notifica all’estero – giorni liberi di anticipo rispetto alla data di udienza (anche in questo caso, in virtù del combinato disposto fra artt. 281 undecies e 318 C.p.c.). Egli, inoltre, dovrà depositare il ricorso e il decreto notificati ai fini della propria costituzione in giudizio. Come si è già avuto modo di segnalare in altra sede[7], si tratta di disposizione di cui si fatica a comprendere la ratio: è del tutto irragionevole, infatti, onerare il ricorrente di tale ulteriore incombente soprattutto ove si consideri che, secondo i principi generali, nei procedimenti instaurati con ricorso la costituzione del ricorrente si ha con il deposito del ricorso medesimo, senza necessità di ulteriori incombenti.

Ove intenda costituirsi in giudizio, il convenuto avrà l’onere di depositare la propria comparsa di costituzione e risposta entro il termine di dieci giorni prima dell’udienza; nella comparsa dovrà proporre le proprie difese, prendere specificamente posizione sulle contestazioni attoree, formulare le proprie istanze istruttorie, nonché le eventuali eccezioni in senso stretto, chiamate in causa di terzi e domande riconvenzionali.

Come già previsto in precedenza, il Giudice di pace dovrà tentare la conciliazione e, ove questa non riesca, potrà procedere alla trattazione ed istruzione della causa, secondo quanto previsto per il procedimento semplificato dall’art. 281 duodecies, commi 2, 3 e 4, C.p.c. In estrema sintesi, il ricorrente potrà chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa terzi, ove l’esigenza sia sorta dalle difese del convenuto e tutte le parti potranno formulare le eccezioni non rilevabili d’ufficio e le riconvenzionali che dipendano dalla riconvenzionale o dalle eccezioni proposte dalle altre parti.

Dietro richiesta delle parti, il Giudice di pace – ove sussista giustificato motivo – potrà concedere alle parti un termine non superiore a venti giorni per precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, nonché un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per repliche e prova contraria. Il fatto che la norma subordini la concessione di tali termini alla sussistenza di un giustificato motivo rende quantomeno opportuno che le parti dispieghino già il thema decidendum e il thema probandum negli atti introduttivi, onde evitare di incappare in eventuali preclusioni derivanti da una valutazione di insussistenza di giustificato motivo per concedere i termini per memorie di integrazione della trattazione ed istruzione della causa.

È appena il caso di osservare che il mancato richiamo del primo comma dell’art. 281 duodecies C.p.c. non consente al Giudice di pace di disporre il passaggio dal rito semplificato al rito ordinario. Il che, in astratto, si potrebbe giustificare con la tendenziale minore difficoltà delle controversie decise dal giudice onorario, ma potrebbe generare difficoltà negli operatori allorché – con la prevista estensione delle competenze attribuite al magistrato onorario – potrà anche incrementare la complessità delle cause sottoposte alla sua cognizione (rendendone opportuna la trattazione secondo le disposizioni del rito ordinario).

Le ultime modifiche operate dalla riforma Cartabia al procedimento davanti al Giudice di pace riguardano la fase decisoria, che oggi richiama esplicitamente il modulo decisorio a seguito di trattazione orale, disciplinato dall’art. 281 sexies, C.p.c.: il Giudice, fatte precisare le conclusioni, inviterà le parti a discutere oralmente la causa nella stessa udienza (o, su istanza di parte, in altra udienza). All’esito della discussione, il Giudice potrà pronunciare immediatamente sentenza, dando lettura del dispositivo e delle concise ragioni in fatto e diritto a sostegno della decisione, oppure potrà riservarsi di depositarla entro il termine di quindici giorni.

Al di là dei profili procedurali sopra indicati, la maggiore novità relativa al procedimento davanti al Giudice di pace riguarda l’apertura dello stesso alle forme del processo telematico.

Si tratta peraltro di una novità che avrà tempi di attuazione differenti rispetto a quelli di entrata in vigore delle norme procedurali. Se per queste ultime, infatti, vale l’anticipazione al primo marzo 2023, il processo telematico avanti al Giudice di pace entrerà in vigore per i procedimenti instaurati dopo il 30 giugno 2023. Tale differenza è giustificata dalla necessità di creare le infrastrutture informatiche necessarie per consentire il deposito e la comunicazione telematica degli atti, le cui tempistiche non si conciliano con l’anticipata entrata in vigore delle norme processuali. Resta peraltro ferma la possibilità, per il Ministero, di anticipare l’entrata in vigore del processo telematico per alcuni uffici o procedimenti per i quali l’implementazione dell’infrastruttura sia tale da consentire anticipatamente l’adozione delle forme del processo telematico.

È invece possibile, sin dal primo gennaio 2023, impiegare le forme di udienza a distanza disciplinate dagli artt. 127 bis ss., C.p.c..

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